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IL GRANDE TREKKING: DAL MARE ALLA VETTA

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foto grande trekking 1

 

Trentadue chilometri attraversando la natura, i borghi e la storia del comprensorio carrarese

“che ne’ monti di Luni dove ronca lo carrarese che di sotto alberga, ebbe trà bianchi marmi la spelonca per sua dimora, onde a guardar le stelle e‘l mar non vi era veduta tronca”

Dante Alighieri. Divina Commedia. Inferno. Canto XX

 

Nella terra dei liguri apuani, antica popolazione autoctona che si batté duramente per ben tredici anni contro i romani, si snodano i trentadue chilometri del percorso del Grande Trekking. Oltre alla dimensione prevalentemente sportiva, evidenziata dallo slogan “sfida te stesso”, c’è anche quella di promozione del territorio, sia sotto il profilo naturalistico che culturale, atteso che l’itinerario proposto attraversa numerosi siti di interesse culturale-paesaggistico.

 

Un territorio che offre la possibilità di bagnarsi i piedi nelle acque del mar Tirreno, e di trovarsi, dopo solo poche ore di cammino, a calpestare le rocce sulla vetta del monte Sagro a 1753 m. di quota, dà subito l’idea delle sue enormi potenzialità. Il Grande Trekking costituisce quindi un evento che difficilmente trova riscontro in altre area del territorio italiano, e non solo:  si tratta della celebrazione di un itinerario ripercorribile autonomamente in tutti i periodi dell’anno, esplorandolo secondo le proprie possibilità e i propri desideri sapendo di poter sempre contare sulla bellezza dei suoi scenari sulla qualità e cordialità dell’accoglienza locale.  Se poi a questo si aggiungono anche le bellezze paesaggistiche e culturali, allora siamo di fronte a qualcosa di eccezionalmente insolito, che non ha paragoni di confronto. Non sono frequenti in Italia e in Europa i luoghi che possono vantare, come le Alpi Apuane, un patrimonio naturale così straordinariamente ricco di paesaggi, di ambienti e di emergenze naturalistiche. Non sono soltanto la flora e la fauna, comunque abbondanti di specie endemiche, ma pure le rocce, i minerali, i fossili, le strutture tettoniche, le forme superficiali e profonde della Terra, a fornire elementi inconsueti, vari e diffusi di valore ambientale. Le Alpi Apuane sono, soprattutto, un complesso orografico di grande suggestione scenica, la morfologia assai aspra, con valli profondamente incise ed un’enorme energia del rilievo. Queste montagne devono buona parte della loro notorietà alla bellezza dei propri marmi e alle grandi cavità del sottosuolo carsico.

Il bacino marmifero apuano, unico al mondo per dimensioni e caratteristiche merceologiche, è una formazione ad andamento continuo con un’estensione di circa 10 per 20 Km ed uno spessore che in alcuni punti supera i 400 m. La sua presenza deriva dalla sedimentazione di cospicui depositi calcarei, in alcune zone particolarmente puri, sottoposti per milioni di anni alle forti pressioni e temperature determinate dalle sovrapposizioni di unità tettoniche. All’interno del bacino marmifero sono reperibili diverse varietà di pietre da taglio, come lo statuario, il bardiglio, l’ordinario, il venato, l’arabescato, il cipollino, il fior di pesco ed altri meno noti ma non meno belli ed apprezzati.

 

La partenza del Grande Trekking avviene a Marina di Carrara dai giardini della località Paradiso, così chiamata anticamente per la presenza delle dune di sabbia e di una estesa pineta in parte ancora visibile. Una volta partiti, ci si dirige lungo la strada che costeggia il cosiddetto “Muraglione” il grande muro anticarro fatto costruire dalla Wehrmacht durante la seconda guerra mondiale, ancora perfettamente conservato per quasi tutta la sua lunghezza. Il muro anticarro, che costeggia il greto del Torrente Parmignola e segna il confine con la Liguria, fu uno degli innumerevoli dispositivi difensivi costituiti da ricoveri protetti, bunker, campi minati, trappole esplosive e torrette di carri interrate facenti parte della Linea Verde 2 ovvero la linea di demarcazione della profondità di estensione territoriale della Linea Gotica rispetto alla Linea Verde 1 (costituita 20 km più a sud ovvero sulla sponda del Fiume Versilia) che arrivava, snodandosi, fino alla foce del Fiume Magra. Una volta raggiunta la sede della Statale 1 Aurelia, ci troviamo in località Cavaiola, il cui nome deriva dalla villa posta ai piedi della collina di Monteverde.

Si inizia a salire verso le montagne passando dalla località Fossone Alto, costituita da piccoli gruppi di case raccolti lungo i pendii del colle con vista sulla marina. Il mare non ci abbandona mai, le finestre con vista si aprono ogni qualvolta giriamo l’angolo. L’azzurro del mare contrasta con il verde dei terreni coltivati della pianura, il Tino e la Palmaria galleggiano all’orizzonte. Una stretta lingua di sabbia grigia è lì, ad uso e consumo dei turisti.

Risalendo la collina attraverso il percorso che ci porta al borgo di Fontia, lungo il cammino incontriamo una mulattiera che si presenta davanti a noi. Il sentiero in alcuni punti sale rapidamente, sulla nostra destra possiamo osservare le Alpi Apuane che svettano maestose formando una cornice veramente unica. I ruderi che incontriamo sono i cosiddetti Palazzetti: sono i resti di un casino di caccia costruito a fine settecento dalla famiglia Del Medico che raggiungevano dalla loro villa di campagna posta più in basso. Proseguendo nel cammino per Fontia, sopra una collina circondata da vitigni che producono il famoso vino di Moneta, si ergono i ruderi di quello che un tempo fu un fiero castello. Noto come borgo fortificato, il Castello di Moneta risale dalle prime registrazioni nel 1035 ma pare abbia origini più remote. Almeno tre cortine murarie difendevano la Rocca e il nucleo abitato, mentre nel punto più alto della collina si trova il cassero, ancor oggi ben conservato nella sua struttura perimetrale. Per la sua posizione panoramica e di guardiano sulla sottostante valle, lo potremo definire custode degli antichi segreti delle Apuane settentrionali. Le origini del castello di Moneta risalgono all’alto medioevo, e il suo nome potrebbe derivare da “Arx Munita”.

 Abitato di Fontia - Foto G. Bogazzi

Sfumata la vista mare, il panorama si apre in tutta la sua imponenza, siamo di fronte a cose mai viste, ammirazione e sgomento sono le prime sensazioni che si provano a guardare i monumentali bacini estrattivi situati sopra la città di Carrara. Ora non è più l’azzurro del mare a dominare la scena, ma il bianco marmoreo dei ravaneti, un tempo faro per i marinai, e l’escavazione praticata sui fianchi della montagna. È su queste montagne che Michelangelo nel 1518 venne per estrarre i marmi per i suoi capolavori. Guardando ancora più lontano si stagliano verso il cielo le possenti vette delle Apuane, quasi a volerlo graffiare: il monte Sagro, la nostra meta, le vette del Maggiore, del Grondilice e della Tambura, ricordata da Dante nella Divina Commedia con il nome Tambernicchi, e a chiudere la nostra visuale il monte Sella e la Brugiana, modesta montagna di circa 1000 metri.

 

Proseguendo il cammino iniziano ad apparire le prime case di Fontia (330 mt. slm), e finalmente tutto il borgo appoggiato sui fianchi della collina dominato dalla mole del campanile della piccola chiesa del XIII secolo di San Nicolò, con il suo storico altare policromo in marmi bianco e colorati e due artistiche statue, una di Santa Lucia protettrice del paese e l’altra di S. Nicolò a cui è dedicata la chiesa. Contiene altari e accessori del ‘700. Tra le peculiarità di Fontia citiamo le numerose maestà marmoree affisse alle facciate delle abitazioni. Il colle di Santa Lucia, che domina il borgo, è l’ultima terrazza affacciata sul mare prima di scomparire alla vista. Da qui si possono infatti ammirare le Alpi Apuane, tutta la valle del Carrione sino a Marina di Carrara e dalla Marina di Pisa sino a tutto il golfo di La Spezia con Sarzana, Portovenere, l’isola Palmaria, Tino e Tinetto, e l’entroterra alle spalle di Sarzana con tutti i paesi sulle cime delle colline. Nelle giornate terse si può vedere l’isola Gorgona e la punta nord della Corsica.

 

Sempre con vista sulle Apuane si arriva alla Foce di Ortonovo. Risalendo un piacevole stradello, un tempo utilizzato dagli abitanti come principale via di comunicazione, si arriva a Castelpoggio, antico borgo millenario situato in posizione panoramica domina la piana di Luni ed è circondato da boschi pascoli e terrazzamenti, tra castagni, corbezzoli, eriche e ginestre. Si trova sulla strada Carrara-Fosdinovo che costituisce il confine tra Toscana e la Liguria. La parte alta del paese è quella più antica e costituiva un borgo murato di cui poco è rimasto dove si trova la chiesa parrocchiale della Natività di Santa Maria. Quest’antichissimo borgo, di cui esiste traccia storica sin dal X secolo, si sviluppava su un costone roccioso ed era difeso da un castello, oggi rimangono i resti di una torre cilindrica, di una cisterna e fondamenta con qualche muro tra alberi e sterpi. Castelpoggio, Castrumpodium in latino, era zona di confine tra Carrara e Sarzana e poi tra lo stato Modenese e quello Sardo mediante il torrente Parmignola che nasce nella zona. Da qui si snoda il sentiero per la Gabellaccia e per Campocecina. Il paese di Castelpoggio lega il proprio nome anche al marmo rosso che si estraeva nelle vicinanze del borgo e dove, ancora oggi, si possono notare nei pressi di una cava abbandonata alcuni blocchi riquadrati. Un tempo, a controllo di tutta questa vasta valle fu edificato, intorno all’anno 1000, un importante castello con annesso un borgo murato, che prese il nome di Volpiglione. La fortificazione aveva principalmente scopi difensivi e di controllo di importanti mulattiere, che partendo dalla città di Luni risalivano la Valle del Parmignola, mettendo in comunicazione le vallate del Carrione.

 Abitato di Castelpoggio - foto di G. Bogazzi

A regnare quasi incontrastato l’ambiente montano è l’albero del castagno, il cui frutto in tempi di carestia, causati da guerre e pestilenze, ha aiutato nella già povera alimentazione numerose famiglie. Salendo di quota troviamo il cerro e l’albero di faggio. Siamo ormai in prossimità delle grotte della Gabellaccia, antico sito preistorico in cui dimorò l’uomo nel periodo eneolitico e nella successiva età del bronzo. I materiali ritrovati confermerebbero questa teoria. Poco sopra siamo in vista del Passo della Gabellaccia, o Dogana della Tecchia. Questo passo ebbe importante rilevanza almeno fino al 1847, come confine di stato tra il Granducato di Toscana e i territori estensi. A testimonianza del pagamento della gabella, ossia la tassa che veniva pagata da coloro che attraversavano i due stati, restano i ruderi del vecchio edificio in sasso. Il tracciato fu adibito principalmente al trasporto del sale da Livorno a Fivizzano e ancora oggi dagli anziani è chiamata via del sale, anche se vi erano trasportate altre merci. La mulattiera era molto transitata durante la pestilenza di Genova del 1656 e, per evitare la Liguria, dal Nord Italia e viceversa si percorreva la via del Sale.

Percorrendo il sentiero che dalla Gabellaccia conduce verso Monzone possiamo riconoscere tra la vegetazione l’imbocco di una galleria, è ciò che rimane di uno degli ingressi delle miniere chiamate di “Scortico” - Canale d’Arpa - dove veniva estratto il manganese, un minerale molto simile al ferro utilizzato nella produzione dell’acciaio. L’imbocco della miniera è purtroppo ostruito da una frana, ma fino a pochi anni fa si poteva entrare per alcune decine di metri nella montagna, camminando sotto le caratteristiche impalcature in legno che sostenevano la volta della galleria. Le miniere furono abbandonate nel dopoguerra. Fino agli anni cinquanta erano ancora visibili i carrelli su rotaia utilizzati per il trasporto del minerale.

Arrivati alla località Foce Pozzi, si rimane sicuramente colpiti dalle profonde spaccature simili ad enormi inghiottitoi, appunto chiamati pozzi, che penetrano nelle profondità della terra, formando un ambiente ipogeo ricco di cavità e gallerie, in cui il lento lavoro dell’acqua ha creato un ambiente ideale per lo speleologo. Le Alpi Apuane rappresentano una delle aree carsiche più importanti d’Italia; vi si contano quasi 1000 grotte. Tra le 50 grotte più profonde della penisola, 17 sono apuane, così come tra le 50 più estese in lunghezza, 8 sono apuane. Il carsismo rappresenta uno dei processi geologici più conosciuti per la capacità di dare vita a forme e paesaggi spettacolari. La maggior parte dei fenomeni carsici è dovuta all’azione delle acque d’origine meteorica sulle rocce, principalmente di tipo carbonatico (calcari e dolomie). L'Antro degli Orridi è una grotta che si sviluppa nel calcare cavernoso ad una quota di 1100 metri sul livello del mare. Incamminandosi lungo il sentiero dal CAI 183 dopo una ventina di minuti si arriva in prossimità dell'ingresso della grotta in un sistema di doline. Una di queste è l'ingresso veramente spettacolare della grotta. Spettacolare perché si tratta di erosione inversa, che scende per una ventina di metri in mezzo al calcare cavernoso e sulle cui pareti scintilla un muschio verdissimo. Proprio di fianco abbiamo una dolina "gemella" che sprofonda di parecchi metri ma ancora chiusa al fondo. Se uniamo queste doline con una linea, intercettiamo un’altra grotta, il Buco Giallo che si apre nella valle parallela a questa a qualche centinaio di metri di distanza.

 

Siamo oramai in vista di Campocecina e dei suoi vasti prati semi pianeggiati, meta di numerosi turisti. A dare conforto all’escursionista troviamo il rifugio C.A.I. Carrara, appoggiato sopra una terrazza con vista sulla marina, immerso in un ambiente dominato dal faggio di alto fusto. A dominare la scena è l’imponente mole del monte Sagro, la montagna sacra venerata dall’antico popolo delle statue stele. Lo scenario cambia nuovamente aspetto, il mare non ci abbandonerà più fino a quando non sarà raggiunta la vetta. Le isole in lontananza sembrano fluttuare cullate dalle onde, mentre la plumbea superficie del mare incontra l’azzurro del cielo. Qui prende forma uno spettacolo irripetibile. Il mare, avvolgendo il cielo nel suo abbraccio, crea un orizzonte che al tramonto si trasforma in una lunga scia colorata, che assume tutte le tinte di rosa, vermiglio e cremisi incendiando le nuvole alte che ancora nascondono il sole. I profili delle montagne, che prima ci apparivano lontani, dalla vetta del monte Sagro sono lì, imponenti e severe a dominare la scena con i loro pinnacoli aguzzi di cattedrale. In basso, incastonati sotto i precipizi del Pizzo d’Uccello e del Grondilice, si affacciano i tetti del paese di Vinca. Qui lo scorrere del tempo è ancora scandito dalla lenta opera della natura, e l’uomo è solo spettatore.

 

Siamo finalmente in dirittura d’arrivo: raggiunta Base Pianza (Foce Pianza) dopo l’ascesa alla vetta del Monte Sagro termina il percorso del Grande Trekking. Sotto la Foce di Pianza si apre uno dei più grandi bacini minerari di escavazione del marmo, e sotto questi, la città di Carrara con i suoi edifici storici: il Palazzo dell’Accademia di Belle Arti, il Teatro Animosi, il Duomo, Piazza Alberica, Piazza d’Armi.

 

 

La Flora

Sui primi rilievi, esposti a mare, la copertura vegetale è di tipo mediterraneo: fino a 300 m circa di altitudine è presente la macchia mediterranea composta oltre che dal leccio, dal mirto, dal terebinto e dalla fillirea; questa copertura vegetale in vaste zone è stata sostituita con oliveti; fino a 600 m circa di altitudine, si trova la pineta di pino marittimo. Procedendo verso l’interno, con l’aumento dell’altitudine, si incontrano i querceto-carpineti ed i cerreto-carpineti, largamente sostituiti dall’uomo con vasti castagneti.

A maggiori altitudini si trovano le faggete, dominate dal faggio, con maggiore estensione nel versante settentrionale delle Apuane, da quota 800-900 m fino a 1600-1700 m. Si trovano per lo più nelle Apuane centro-settentrionali e sono costituite principalmente da due diverse specie di mirtillo. Le aride vette calcaree, apparentemente prive di vegetazione, ospitano in realtà numerose specie erbacee che vivono sulle pareti rocciose; si tratta per lo più di cespugli ed arbusti, che determinano un tipo di vegetazione discontinua; questa rada copertura vegetale caratterizza largamente il paesaggio vegetale apuano d’altitudine e si sviluppa sulle vette costituite da marmo. In queste situazioni ambientali compaiono numerose specie endemiche, quali l’atamanta e la silene lanuginosa.

 

La Fauna

Grazie alla tutela offerta dall’area protetta, nel corso degli ultimi anni la fauna selvatica delle Apuane è sensibilmente aumentata nel numero e nella quantità delle specie presenti. Un segno tangibile di questa nuova fase è dato dal ritorno dell’aquila reale che ora vi nidifica stabilmente. Tra i rapaci diurni sono inoltre presenti il falco pellegrino, il gheppio e la poiana mentre tra i notturni, il gufo, il barbagianni, la civetta e l’allocco sono le specie più diffuse. Tra i predatori opportunisti è presente il maestoso corvo imperiale e tra gli abitanti delle quote più elevate spiccano sia il gracchio alpino che il ben più raro gracchio corallino, dal caratteristico becco rosso, divenuto simbolo del Parco delle Alpi Apuane. Altre specie interessanti sono il sordone, il codirosso spazzacamino, la pernice rossa e altre ancora, come il torcicollo, il cuculo, il picchio muraiolo o la rondine montana, sono legate alle migrazioni stagionali. Assai numerosi sono i fringillidi e le cincie mentre il picchio verde e quello rosso maggiore risultano ben distribuiti nei boschi più maturi. I mammiferi sono oggi rappresentati da alcune specie di pipistrelli, da roditori come il ghiro, lo scoiattolo e il moscardino, dalla lepre, dal capriolo e dal cinghiale, mentre tra i predatori, oltre alla volpe, si contano il lupo, la faina, la donnola, la puzzola, la martora e il più accomodante tasso che si accontenta anche di vegetali. Il robusto e agile muflone è invece una specie introdotta che tuttavia si è adattata a meraviglia all’ambiente apuano, tanto da essere osservato piuttosto comunemente. Tra le rarità va segnalata l’arvicola delle nevi, un piccolo roditore giunto in questi luoghi durante gli ultimi eventi glaciali. Nei torrenti non mancano le trote e tra gli anfibi, oltre alla salamandra pezzata, sono particolarmente degni di nota sia il tritone alpestre apuano che la salamandrina dagli occhiali; altre rarità sono rappresentate dal geotritone e da un insetto, la Nebria apuana, che risulta distribuito in una ristretta area geografica.

 

La cucina del comprensorio carrarese

Questa raccolta di nomi dei piatti e delle pietanze tipiche locali non ha di certo la pretesa di esaurire l’argomento né tantomeno di fornire una “ricetta”. Così come il dialetto locale cambia fonetica e significato dai paesi a monte sino alla spiaggia, determinati piatti pur avendo basi comuni, registrano più varianti. Per questione di spazio non si posso inserire ogni singole ricette, per cui ci si limita soltanto ad elencare i piatti.

La Pasta, rigorosamente fatta e tirata a mano: Lasagne verdi. Pasta all’acciugata. Stringoni al pesto. Topetti al sugo di ragù. Tordelli al sugo di ragù. Le Minestre Minestra in brodo di pesce. Minestrone di verdura. Pan cotto. Pasta e fagioli. Taglierini nei fagioli. Cappelletti in brodo. Zuppa di fagiolini dall’occhio. Il Riso. Riso ai muscoli. La Polenta. Da sempre la polenta è stata accompagnata con le carni, con i pesci, con i funghi e con la cacciagione. Fatta con la farina bianca e gialla, tagliata direttamente in tavola con il filo da cucire. Polenta e acciughe. Polenta e coniglio. Polenta con funghi pioppini. Polenta olio e formaggio. Polenta fritta. Polentone incatenato. Il Pesce. Baccalà marinato. Baccalà fritto. Frittelle di baccalà. Aringhe alla griglia. Stoccafisso bollito con verdure lessate. Stoccafisso al forno con le patate. Acciughe fritte. Acciughe marinate. Acciughe e patate in casseruola. Torta di acciughe. Frittata di bianchetti. Muscoli alla latta. Muscoli bolliti. Muscoli fritti. Muscoli ripieni. Seppie all’inferno con le patate. Verdoni marinati al forno. Le Carni. La Pancetta. Pollo in umido con le barbe. Pollo alla cacciatora. Coniglio alla cacciatora. Polpette fritte. Stufato con le patate. Trippa con le patate. La carne alla pizzaiola. Lardo di Colonnata. La Caccia. Storni in casseruola. Fagiani al forno. Altre Pietanze. Le Ballotte. Barbe fritte. Cavolfiore fritto. Crostini con i fegatini capperi e acciughe. Fiori di zucca fritti. Frittata di bietole e spinaci. Frittata di carciofi. Frittata di zucchini col timo. Frittelline di farina bianca. Insalata di musciame e pomodori. Lumachelli al pomodoro. Panigacci. Sgabei. Farinata. Rapini con salsiccia. Sformato di barbe. Sformato di gobbi. Verze ripiene. Peperoni, cipolle e zucchini ripieni. La bruschetta aglio e olio. Il pinzimonio con la cipolla fresca, il sedano, i carciofi tagliati e i ravanelli. I Dolci. I biscotti della prima comunione. Il Buccellato. Il budino di semolino. Le frittelle di castagnaccio. La torta di castagnaccio con i pinoli e il rosmarino. Le frittelle di semolino. La torta di riso.

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 © 2018 del testo di Paolo Camaiora, Guglielmo Bogazzi & Andrea Maccari per GT5 il Grande Trekking