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Le cave di marmo

Veduta

« …  lo Carrarese che di sotto alberga, ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca per sua dimora… » (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno XX)

Il marmo di Carrara (per i Romani marmor lunensis, "marmo di Luni") è un tipo di marmo, estratto dalle cave delle Alpi Apuane in territorio di Carrara, universalmente noto come uno dei marmi più pregiati.

Le cave di marmo erano probabilmente già utilizzate durante l'età del rame dai primitivi abitanti della zona per produrre utensili vari e oggetti decorativi e commemorativi da interrare nei sarcofagi con i defunti.

Con i Romani si sviluppò l'attività estrattiva vera e propria, e a partire dall'epoca di Giulio Cesare (48-44 a.C.) riforniva di blocchi di marmo bianco le maggiori costruzioni pubbliche di Roma e numerose dimore patrizie. L'esportazione avveniva tramite il porto di Luni, per cui veniva detto marmo lunense.

Dal V secolo l'attività estrattiva subì un periodo di stasi a seguito delle invasioni barbariche. In seguito con la maggiore diffusione del Cristianesimo il marmo fu richiesto in grandi quantità per l'edificazione di edifici religiosi e per il loro arredo interno. La fervente attività delle cave si dovette soprattutto ai Maestri comacini, a Nicola e a Giovanni Pisano, che lo utilizzarono per le loro opere nell'Italia centrale. Durante il Rinascimento fu il marmo utilizzato da Michelangelo per le sue sculture, il quale veniva a scegliere personalmente i blocchi con cui realizzare le proprie opere.

Nel XX secolo molto uso si fece del marmo di Carrara durante il fascismo: Mussolini donò perfino del marmo per una delle due moschee della Spianata del Tempio di Gerusalemme.

Le cave sono luoghi dove da molti secoli avviene l'escavazione e la lavorazione del marmo e possono essere di due tipi: chiuse e a cielo aperto. Per il modo con il quale viene prelevato il marmo, la profondità di prospettiva delle pareti bianche, gli ampi spazi, la precisione simmetrica dei gradoni, i piani di lavorazione sembrano gradinate di anfiteatri. L'estrazione del marmo in cava è stato un continuo divenire di documenti vivi e drammatici attraverso i secoli, dai primitivi cunei di legno, al sistema della tagliata dei romani, al rivoluzionario filo elicoidale, all'attuale filo diamantato, tanto veloce quanto pericoloso, tra gli anfratti delle cave e i candidi e scoscesi ravaneti sono conservati gli eroismi, le fatiche, i sacrifici dei cavatori che con tenacia e capacità continuano ancora oggi a demolire queste montagne tagliandole, frantumandole e smontandole pezzo a pezzo, in piccoli blocchi per poi inviarli nel mondo.

Carrara è legata alla sua montagna; una montagna che l’ha valorizzata col suo marmo, con le sue cave spettacolari e, a cominciare da tempi meno lontani, anche con il fascino di un turismo alpino che nel massiccio carrarese trova ambiente ideale ed irripetibile. Quest’ultimo aspetto, importante anche da un punto di vista meramente economico, è ancora lontano dalla piena espressione di tutte le sue possibilità: il suo stadio attuale, incompleto, è stato raggiunto a prezzo di notevoli sforzi e sacrifici.

Benché, già in tempi abbastanza remoti, viaggiatori, scrittori e scienziati avessero descritto con toni appassionati i monti circostanti la città (Spallanzani, Repetti, Stoppani e molti altri), i primi tentativi di valorizzare alpinisticamente e turisticamente la nostra montagna si ebbero nel 1888 e presero corpo nella fondazione di una Sezione del Club Alpino Italiano. I tempi però non erano ancora maturi e l’iniziativa andò, via via, perdendo il suo mordente: la Sezione si sciolse. Dopo tanti anni, nel 1936, venne costituita un’altra Sezione del C.A.I., denominata APUANA, in omaggio alla avvenuta fusione dei Comuni di Carrara e di Massa nell’unico Comune che, appunto, si chiamava Apuania. L’incremento turistico-alpinistico fu, inizialmente, modesto e limitato all’ambito di casa nostra. A frenare definitivamente le speranze venne, poi, la seconda guerra mondiale.

Tornata la pace e ripristinati, fra l’altro, i vecchi organismi comunali di Carrara e Massa, della fatiscente Sezione Apuana del C.A.I. rimasero solo poche scartoffie: in compenso emersero tanti debiti! Ci fu, da più parti, un tentativo di ravvivare, in modo più positivo, le premesse da cui si era partiti, ma anche i nuovi intenti finirono in un mare di polemiche e di ignavia. Quando ormai sembrava che tutto fosse sepolto, un gruppo di vecchi alpinisti, usciti finalmente dal torpore e stimolati dall’allora Presidente Generale del C.A.I., Bartolomeo Figari, si rimboccò le maniche e fondò una nuova Sezione del Club Alpino Italiano all’insegna, per un miglior auspicio, del prestigioso nome di Carrara. Eravamo nel 1950. Il nuovo sodalizio ebbe presto molte adesioni e, fra l’altro, richiamò in loco chi, nel frattempo, si era iscritto ad altre Sezioni del C.A.I. Accalorate iniziative impressero al sodalizio uno sviluppo superiore a quello previsto: venne concordato un programma ambizioso e concreto che prevedeva, fra l’altro, la costruzione di un moderno Rifugio nella zona di Campocecina. Nel 1956 si gettarono le fondamenta del RIFUGIO CARRARA a Campocecina. Il completamento dell’opera richiese tre anni di lavoro. L’inaugurazione fu una festa per tutti e, particolarmente, registrò unanimi riconoscimenti al Presidente ed al Consiglio del C.A.I. carrarino che tanto si erano impegnati. Naturalmente, questa grande realizzazione fece sorgere altre necessità: il Consiglio sezionale, sempre sotto l’infaticabile presidenza di Plinio Volpi, che tanto ha contribuito allo sviluppo alpinistico e turistico della zona, dopo anni di insistenza ottenne che il Rifugio fosse allacciato alla linea elettrica, a quella telefonica e fosse dotato di un’adeguata condotta idrica che sfruttò le fresche sorgenti di Acquasparta. Successivamente venne eretta la Chiesetta Alpina intitolata alla Madonna delle Apuane e si realizzò uno stradello montano fra il Rifugio, la sottostante carrozzabile e il pratone di Campocecina: tutto ciò fu il coronamento della genuina passione che pionieri quali Cesare Martignoni, la Rocchi (Oneglia) ed altri ben fermi nel ricordo di tutti avevano profuso, fin dall’inizio del secolo, verso la valorizzazione della zona. Attualmente il Rifugio è tenuto dall’infaticabile Roberto Morelli, una figura nota e stimata negli ambienti alpinistici.

Oggi arrivare lassù non è più impresa «da provetti montanari»: è, invece, da autentici amanti della natura e della montagna frequentare quelle incantevoli altitudini con rispetto e comprensione, adoperandosi perché tanti valori non vadano perduti ma restino, quotidianamente, a testimoniare una dimensione senza la quale il vivere perderebbe, inevitabilmente, quota. La Sezione carrarese dei C.A.I. si batte, da anni, per salvaguardare certi valori ed i suoi Presidenti succedutisi nel dopoguerra (Plinio Volpi, Francesco Bianchi, Aldo Andrei, Fausto Pregliasco) hanno visto la loro tenace opera premiata con i vincoli che oggi proteggono la zona montana carrarese: una zona nella quale è ancora possibile trovare luoghi in cui la natura impone la sua legge.